28 febbraio 1978

04. Discorso all'assemblea della DC

Documento aggiornato al 09/04/2005
Cari Colleghi ed Amici, innanzitutto chiedo scusa della mia voce che ho meno chiara di quanto non sia solitamente, per alcuni giorni di influenza che ho condiviso con l'amico Bartolomei. Ma, come dicevo ieri sera, mi sentivo anche abbastanza bene con questa voce un po' rauca perché mi sembrava di assomigliare all'onorevole Piccioni. Io mi sento gravato da una grande responsabilità, perché ho colto da tante parti una sollecitazione ad intervenire nel corso di questo dibattito, l'ho colta in particolare nelle parole, come sempre affettuose, dell'onorevole Scalfaro, e mi è sembrato così che parecchi amici pensassero, a torto, che io abbia la chiave per il superamento delle nostre comuni difficoltà. Io ho una certa esperienza; ho vissuto alcuni anni intensi in diverse esperienze della Democrazia cristiana; sono lieto sempre di mettere a disposizione il frutto di questa vita spesa al servizio del Partito, ma credo che davvero nessuna persona possa vincere l'ostacolo che è dinanzi a noi; dobbiamo vincerlo insieme, nella nostra concordia, nella nostra solidarietà, nella nostra consapevolezza quindi devo dire che non è stato un gioco di parole quello che ho detto ieri all'onorevole Scalfaro, e cioè che desideravo ascoltare ed essere illuminato. Era la sincera manifestazione di una volontà di dialogo tra noi, che non è cominciato del resto qui e nel corso del quale effettivamente ho potuto saggiare la validità di alcuni miei convincimenti alla luce delle osservazioni che, in un senso o nell'altro, sono state avanzate.
Ed esso si conclude oggi con questa assemblea altamente responsabile.
Consentitemi di dire, non per convenzione, ma con assoluta sincerità, che questa è stata una bellissima assemblea, ricca di interventi, seri, solidi, responsabili pur nella loro diversità, come è naturale che sia. E dicevo poc'anzi all'onorevole Piccoli che non mi pento certamente di avere trovato naturale un incontro di tutti i parlamentari in una riunione come questa, avendo piena fiducia nella Democrazia cristiana e piena fiducia nella verità. Perché certamente non sono utili le cose che si nascondono, le cose che si riducono a serpeggianti mormorazioni, mentre non sono mai cattive le cose che vengono dette con sincerità nelle sedi proprie, nell'ambito di un dibattito democratico responsabile come quello che stiamo vivendo. Quindi credo che le cose dette, e quelle che saranno dette successivamente, siano un contributo importante al superamento della crisi. Sono state dette cose che mi pare non si possano in nessun modo ricondurre ad una meschina ragione di interessi, ma cose, comunque formulate, che si riportano agli ideali, a quei modi di vita, a quella ragion d'essere che sono propri della Democrazia cristiana. Mi pare che questa volta l'accusa di portare avanti nel dibattito piccoli interessi particolari, ci sia stata meno nella stampa, la quale ha rispettato il dibattito serio e profondo che si è svolto nella Democrazia cristiana, ha compreso quanto fosse importante che il nostro Partito andasse fino al fondo nella ricerca della verità in un momento come questo, che certamente è un momento di grande responsabilità. Abbiamo, credo, lavorato tutti in questo periodo, ciascuno al proprio posto, chi in modo febbrile, chi in modo un po' più calmo. Abbiamo fatto tutti il nostro dovere. Credo abbia fatto il suo dovere anche la delegazione che in questo momento mi incarica di dire qualche parola conclusiva. Tutti abbiamo responsabilmente affrontato il nostro compito, consultandoci tra noi e tenendoci in contatto con i gruppi parlamentari e la base di Partito. E credo l'abbiamo fatto con spirito di unità, di concordia, con un continuo collegamento. E voi, cari amici, avete fatto la vostra parte preparando l'assemblea che oggi si celebra e dalla quale noi ci proponiamo di trarre delle indicazioni preziose per vagliarle secondo le indicazioni date dalla direzione del Partito.
Possiamo dire, quindi, che abbiamo cercato seriamente e lentamente la verità, la verità nel senso politico, cioè la chiave di risoluzione delle difficoltà insorte nel corso di queste settimane. Non dico a caso che essa sia stata cercata lentamente. Mi rendo conto che c'è una certa punta di polemica - anche se mi sembra essersi attenuata nel corso di questa crisi - nei confronti della procedura articolata che abbiamo adoperata. Essa ci ha condotti a riflettere, a scambiarci idee, a riunirci in direzione, a sentire i direttivi dei gruppi, e poi a ritrovarci ancora. Si tratta di una procedura un po' lenta, di fronte ad un certo rapido procedere di alcune democrazie occidentali, ma vorrei dire non di tutte. Infatti, si parla dell'Italia come di un caso a sé, ma l'Olanda ha impiegato circa nove mesi per risolvere la sua crisi, e mi pare che essa abbia il primato di una ventina di partiti, primato al quale non siamo ancora giunti, e che mi auguro non raggiungeremo mai. Anche il Belgio ha conosciuto crisi di mesi, e non di settimane.
A parte questo, voglio dire che, la mancanza di una vera polemica intorno al moderato snodarsi della crisi si deve alla consapevolezza che le forze politiche e l'opinione pubblica hanno della difficoltà della situazione, dell'importanza nuova e decisiva dei quesiti che ci sono proposti, del carattere altamente responsabile delle decisioni che dobbiamo prendere.
Di fronte a tutto questo, certamente non si possono concepire degli ultimatum di qualsiasi natura. Taluni possono essere dolci nell'aspetto, altri più duri, ma ultimatum di qualsiasi genere che effetto avrebbero nei confronti di una maturazione che tende a cercare la via di uno sbocco positivo? Avrebbe un qualsiasi ultimatum il significato di una stretta, che rischierebbe di far precipitare le cose verso una conclusione negativa.
Non è che noi abbiamo perso tempo; non abbiamo giocato con alcuno; abbiamo cercato di riflettere seriamente, nel corso di queste settimane, sulle cose che erano dinanzi a noi. Che questa lunghezza delle nostre meditazioni non sia stata inutile, è dimostrato, credo, anche dall'assemblea di oggi: essa ha registrato (come era naturale che registrasse) posizioni vigorose, vivacemente polemiche; ma ha registrato anche una serie di indicazioni positive ed intenzioni costruttive; ha fornito il senso di una accresciuta consapevolezza della responsabilità che ricade sulla Democrazia cristiana. Se questo si deve al vostro senso di responsabilità, lo si deve anche al modo, al ritmo con cui le cose sono state condotte. Di questo ritmo, speriamo di poter dimostrare l'utilità: in definitiva, ne deriva un vantaggio in termini di costruttività nella nostra vita politica.
Siamo di fronte ad interrogativi che, qualche volta, ho definiti angosciosi, come è stato rilevato dal Corriere della Sera in un articolo di linguistica politica, che mi riconosce una certa sobrietà, ma mi addebita il fatto di aver pronunziato una volta il termine "angosciosi". Effettivamente, si tratta di interrogativi angosciosi, di alcuni tra gli interrogativi più gravi, più ricchi di futuro che ci siano stati proposti nel corso della nostra storia trentennale.
Si può dire che, dal momento nel quale si è determinata l'esclusione del Partito comunista italiano dall'area governativa, abbiamo avuto momenti di difficoltà, ed abbiamo realizzato delle svolte. Soprattutto ad un certo momento, all'epoca del centro-sinistra, abbiamo avvertito che cominciava qualcosa di veramente nuovo. Ma non abbiamo mai, fino ad oggi, sentito che eravamo di fronte ad interrogativi grandi come quelli che ci si pongono dinanzi, ed ai quali si deve rispondere con un profondo esame di coscienza.
Siamo di fronte ad una situazione difficile, una situazione nuova, inconsueta, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi non servono più. E' necessario adoperare qualche altra cosa, guardare le cose con grande impegno, con grande coraggio, con grande senso di responsabilità, ma anche con grande fiducia nella Democrazia cristiana.
Queste cose nuove ed inconsuete nascono dalle elezioni, ma hanno una loro origine un po' più lontana. Già prima delle elezioni vi è stato il risultato di un referendum, che ha certamente sconvolto la geografia politica italiana. Prima delle elezioni vi sono state quelle regionali, che hanno registrato un forte mutamento di opinioni politiche; prima delle elezioni vi è stata quella dichiarazione, che ha pesato e pesa tuttora nella realtà italiana, con la quale, senza successivi ritorni e pentimenti, il Partito socialista ha dichiarata chiusa l'esperienza di centro-sinistra. Prima delle elezioni abbiamo visto rattrappirsi l'antica maggioranza di centro-sinistra in un Governo a due, che faceva fatica a vivere in considerazione della quotidiana contestazione dei partiti non presenti, il che induce a comprendere quale sforzo di abilità, di pazienza, di serietà abbia dovuto compiere il presidente Andreotti per gestire un Governo di soli democristiani, con le astensioni degli altri partiti.
Già prima delle elezioni abbiamo avuto un Governo monocolore, con la semplice astensione socialista, e infine siamo scivolati nelle elezioni.
Quindi è una crisi prolungata, un serio deterioramento che l'amico De Mita definisce con la lucidità di intuizione che gli è propria (io mi tengo un po' più terra terra); ma certamente devo riconoscere che qualche cosa da anni è guasto, è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana.
E di fronte a questo logoramento, propiziato da una stampa pressoché unanime nel denigrare e nel dichiarare decaduta dal trono e dalla sua semplice condizione civile la Democrazia cristiana, alla luce di questa esperienza, si può ritenere , che il risultato elettorale del 20 giugno - pure creatore delle novità e delle difficoltà di fronte alle quali ci troviamo - sia stato una risposta sostanzialmente positiva del Paese, il quale, a dispetto di tante polemiche interessate alla distruzione della Democrazia cristiana, ha risposto confermandoci nel ruolo di primo Partito italiano con un soprassalto di consapevolezza che fa onore all'opinione pubblica che si sa ritrovare, come si è ritrovata, nei grandi momenti in questi 36 anni intorno alla Democrazia cristiana, consacrandola come il più grande Partito italiano.
Quindi abbiamo avuto una vittoria: ma non siamo stati gli unici vincitori. I vincitori sono stati due e due vincitori in una sola battaglia creano certamente dei problemi. Guardando alla situazione così come si presentava, è straordinario che la Democrazia cristiana sia stata riconfermata nella sua forza e nel suo ruolo. Essa non è più però al momento in condizione di aggregare una maggioranza politica intorno a sé in senso tradizionale, e a fronte della nostra una nuova grande potenza si è avvicinata in modo sensibile alla forza della Democrazia cristiana. Credo che, in tale condizione, la risposta, nell'ambito di una rigorosa logica costituzionale, da dare alla evidente incompatibilità dei due vincitori delle elezioni (in misura diversa, ma due vincitori) e al ritiro e alla riserva delle altre forze politiche, avrebbe dovuto essere lo scioglimento delle Camere e la indizione di nuove elezioni per la ricerca di omogeneità che in atto apparivano impossibili.
E lo sviluppo degli eventi ha dimostrato che delle cose non soltanto erano impossibili in quel momento, nel fuoco della polemica elettorale, ma hanno continuato ad apparire impossibili e lo sono anche oggi, a distanza di tempo e al di là del comprensibile risentimento di forze idealmente e politicamente importanti, che la spinta alla polarizzazione aveva in qualche modo sacrificato.
Questa era la situazione cui avremmo dovuto rispondere, secondo una logica ristretta, con nuove elezioni. Non lo abbiamo fatto. Non abbiamo tentato di farlo, credo concordemente, per rispetto del Paese, con i suoi problemi accresciuti di importanza e di gravità di momento in momento, per il timore di una ulteriore polarizzazione fra le forze. Abbiamo cercato una soluzione positiva, nel limite ristretto che la situazione ci lasciava.
Non le abbiamo volute queste elezioni, perché esse, in definitiva, avrebbero determinato un accentuato, massiccio, reciproco condizionamento dei due grandi partiti. Non soltanto avremmo esaurito sempre di più forze che tutti conveniamo essere vitali nel nostro sistema, ma avremmo consolidato una situazione di massiccio condizionamento reciproco, cioè di possibile reciproca paralisi dell'uno e dell'altro dei due grandi schieramenti.
Questa che, se la si pone in termini non costruttivi, è la caratteristica della situazione odierna, sarebbe diventata ancora più evidente se avessimo obbedito alla sollecitazione di una rapida rettifica di una situazione che, malgrado tutto, non ci andava bene.
Credo di aver detto io per la prima volta, parlando a Mantova (e non me ne pento perché credo che quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta: la verità è sempre illuminante, ci aiuta ad essere coraggiosi), che noi siamo in condizione di paralizzare, in qualche modo, il Partito comunista ed il Partito comunista è a sua volta in grado di paralizzare, in qualche misura, la Democrazia cristiana. Ciò è stato poi ripreso da parte comunista: esso riflette la verità delle cose. Naturalmente in che senso deve essere inteso ciò che ho detto? Deve essere inteso nel senso che noi dobbiamo, con un atto di coraggio, sfuggire alla logica di un condizionamento opprimente e paralizzante, per fare - come abbiamo cercato di fare - qualche cosa di costruttivo, restando nello sfondo quel ricorso elettorale che non abbiamo voluto allora e che non abbiamo in mente in questo momento. Ci si pone il problema di non essere massicciamente condizionati ed invece di trovare un'area di concordia, una area di intesa tale da consentire di gestire il Paese, finché durano le condizioni difficili alle quali la storia di questi anni ci ha portato.
Se qualche volta c'è stata e continua ad esserci una punta polemica contro la Democrazia cristiana, quasi che su di essa cadesse la responsabilità di questo stato di cose, di questa impossibilità di riproporre lo schema classico del rapporto maggioranza-minoranza, ciò è dovuto all'abitudine di addebitare, da qualsiasi parte, tutti i mali alla Democrazia cristiana: dimenticando le reali condizioni del Paese e dello schieramento politico.
Ebbene, cari amici, voi che parlate intensamente ed utilmente con gli elettori dovete pacatamente ricordare, senza inutili polemiche, che la decisione di isolarsi, tra Democrazia cristiana e Partito comunista, è una decisione di importanti partiti storici, i quali hanno ritenuto che non fosse possibile costituire una maggioranza nel senso tradizionale. E questo io credo debba essere oggetto di rispetto da parte nostra - l'ho detto più volte e lo ripeto - perché credo che non sia giusto e non sia utile dare un cattivo significato polemico, un significato di ritorsione, al fatto che siamo rimasti, in certo modo, soli.
Possiamo anche renderci conto delle ragioni che hanno determinato questo atteggiamento. Ecco però la necessità di guardare, ogni tanto, più a fondo nelle cose; di guardare realisticamente quello che ci sta di fronte.
Dobbiamo rispettare e capire perché, pur creandoci tanti problemi (e, credo, creandone anche al Paese), queste forze abbiano assunto certe posizioni. Esse hanno visto emergere nella vita politica un altro polo di presenza, di segno diverso ma con il quale hanno in comune una certa tradizione laica, ed il desiderio di immaginare, di sperimentare qualcosa di nuovo.
Dicevo che noi dobbiamo rispettare queste cose e dobbiamo capire, ma dobbiamo anche ricordarle a coloro che sono troppo frettolosi nell'attribuire responsabilità alla Democrazia cristiana.
Noi ci siamo quindi trovati relativamente isolati: dico "relativamente", perché non abbiamo di fronte uno schieramento di partiti ostili, anche se in qualche momento abbiamo avuto l'impressione di essere punti con uno spirito non proprio fraterno. Comunque, non abbiamo di fronte uno schieramento di partiti ostili: il fatto nuovo è che fra questi partiti non ostili c'è anche il Partito comunista.
La situazione è dunque questa: abbiamo di fronte uno schieramento politico nel quale ritroviamo i partiti di antica tradizione comune di Governo e il Partito comunista, tutti in atteggiamento non ostile nei confronti della Democrazia cristiana.
Per questo parlo di una Democrazia cristiana solo relativamente isolata e concordo con gli amici Zaccagnini e Galloni, i quali hanno rilevato come in questi mesi si sia potuto un po' riaprire il discorso, disgelare le relazioni con questi partiti. Ed è stata una cosa ottima, che credo di poter accreditare a merito degli uomini che così validamente hanno contribuito - come, appunto, Galloni - a portare avanti questo dialogo, includendovi il piccolo ma importante Partito liberale.
Non abbiamo perduto in senso proprio l'egemonia, ma certamente la nostra egemonia è attenuata. Avendo rifiutato la soluzione drastica, la soluzione d'impeto (siamo non omogenei, non omogeneizzabili, dobbiamo perciò ritornare alla fonte del potere), abbiamo cercato dei rimedi misurati, degli accomodamenti che non si sono dimostrati cattivi nella loro attuazione, anche se all'inizio sono stati guardati - e non poteva accadere che non lo fossero - con delle preoccupazioni.
Abbiamo operato - si è detto - "nel quadro del confronto". Certamente questa espressione meriterebbe di essere approfondita nel suo significato. Per essere questa una linea politica nuova, di anni nuovi in confronto al passato, deve contenere qualche cosa che si ricolleghi a quel tanto di novità problematica, discutibile quanto si vuole, che è nel Partito comunista e nel rapporto fra il Partito comunista e gli altri partiti. Abbiamo cercato di stabilire un certo contatto reciprocamente costruttivo, sulla base non di un urto polemico quotidiano, come era nella tradizione, a suo tempo naturalmente. comprensibile, ma sulla base di un certo spirito costruttivo, per ricercare se tra queste due forze antitetiche, alternative, della tradizione italiana, vi potesse essere qualche punto di convergenza, per lo meno su alcune cose; se vi potesse essere interesse a capirsi reciprocamente intorno al modo di soluzione di alcuni problemi del Paese. Ed è in questo quadro di un confronto così intenso che abbiamo potuto inserire - ripeto - con qualche iniziale disagio, ma poi con riconoscimenti positivi la formula di "non sfiducia", una sorta di accostamento obiettivo, di atteggiamento non negativo dei partiti.
Questo atteggiamento dei partiti includeva anche il Partito comunista. Era una novità. Non è che noi, cari amici, non ce ne siamo accorti. Voi avete certamente colto questo elemento di novità. Avete avuto presente il contesto storico, il fatto elettorale, gli anni che stavano dietro di noi.
Avete guardato ed abbiamo guardato al Paese. Abbiamo ritenuto che questo allineamento, in forma di obiettivo e non negoziato contributo, del Partito comunista, in forma di astensione, potesse essere accettato. Abbiamo avuto alcune decisioni in materia istituzionale, anch'esse motivo di turbamento, poi comprese nel loro significato.
Ad un certo momento, abbiamo stipulato un accordo sul programma, nella logica di quel non rompere tutto, come si poteva essere tentati di fare, per la difficoltà di immaginare cosa sarebbe sopravvissuto a questa generale rottura. Abbiamo quindi cercato (anche qui con molte comuni trepidazioni) di dare un contenuto positivo all'intesa, cioè di sostituire al non opporsi un qualche accordo parziale - abbiamo detto - su alcuni punti particolari: qualche accordo parziale su cose da fare, per un certo tempo. Abbiamo detto che questa operazione non comportava la formazione di una maggioranza politica, il che non è stato contestato.
Abbiamo detto che si trattava però di un fatto che aveva un suo significato politico; abbiamo cioè arricchito ulteriormente il quadro del confronto ravvicinato, obbedendo alle esigenze del Paese. Dato che non si vuole rompere perché si ha paura delle gravi conseguenze per il Paese, si è cercato, naturalmente con ogni cautela, con ogni rispetto per l'identità e la sensibilità della Democrazia cristiana, di fare qualcosa di positivo (ecco il senso dell'accordo di programma), di programmare un po' quell'azione di Governo che invece il Presidente del Consiglio doveva faticosamente improvvisare, di giorno in giorno, ingegnandosi di renderla accettabile per le Camere.
C'è una polemica, che credo francamente ingiusta, intorno al modo con cui abbiamo gestito tale programma. Non che esso abbia avuto grande attuazione, non se ne è avuto il tempo. Respingo però fermamente l'idea che vi sia stata una volontà della Democrazia cristiana di bloccare l'attuazione del programma. Potremmo dire che in alcuni casi il blocco è venuto da altre parti. Da parte nostra, abbiamo veramente giocato tutte le carte su questo terreno ed abbiamo persuaso il Partito della bontà di questa idea, del suo valore positivo, si intende, nel quadro non tradizionale in cui ci si inseriva. Questo è diventato patrimonio del Partito. Ci è accaduto di cogliere con soddisfazione, nel corso di questa crisi, indicazioni in senso favorevole sull'accordo di programma integrato anche da un'intesa di politica estera.
Non voglio addentrarmi nella storia di questa crisi, perché non amo fare il processo agli altri partiti. Vero è che si è registrato del nervosismo di base nel Partito comunista e vi è stata una decisione che ci è parsa per lo meno affrettata. Debbo dire che non è che vi era un impegno di durata per l'accordo a sei.
Questo impegno preciso non vi era; vi era però l'accettazione dell'accordo e la legittima previsione che esso potesse andare avanti ancora qualche tempo. C'è stata qualche cosa: forse l'aggravarsi della situazione, forse l'inquietudine della base sindacale hanno portato a questa decisione avvenuta al di fuori di noi. Ecco, questa è la storia che sta alle nostre spalle; e adesso si tratta di vedere che cosa si debba fare di fronte alla crisi che è scoppiata, coinvolgendo prima alcuni dei partiti intermedi e poi, alla fine, con valore determinante, il Partito comunista.
E' qui naturalmente il nucleo centrale delle nostre riflessioni, ma soprattutto delle nostre comuni preoccupazioni. Cioè, dobbiamo domandarci: è possibile andare avanti, si può sperare di andare avanti nella soluzione della crisi, muovendosi in modo lineare nell'ambito di una direttiva che è stata tracciata e che ha avuto già alcuni tempi di svolgimento, che è rimasta nel suo significato complessivo? Che cosa dobbiamo fare? Abbiamo delle difficoltà. Dobbiamo fare qualche cosa, e nel fare qualche cosa c'è rischio di cambiare la nostra linea, di menomare la Democrazia cristiana, di compromettere l'identità della Democrazia cristiana e il suo dialogo aperto e costruttivo con l'opinione pubblica? Questo è il nostro quesito.
Che cosa possiamo fare per fronteggiare la situazione ed insieme per non rompere, per non distruggere, per non fare nulla di catastrofico, per non guastare cose che sono essenziali per noi, che sono ragione di vita per la Democrazia cristiana? Questo è il punto. Qui vorrei ricordare (avendo sempre in mente la storia della Democrazia cristiana) i 30 anni che hanno visto tante svolte, se volete svolte piccole, a fronte dei problemi più impegnativi che stanno dinanzi a noi. Ma in che cosa è la garanzia reale del nostro più che trentennale predominio nella vita politica italiana?
Nella nostra opposizione al comunismo, certamente; abbiamo vissuto e ci siamo fatti forti e siamo restati forti come alternativa ideale di fronte al Partito comunista.
Ma pure con questo sfondo, ci siamo trovati davanti ad una infinità di problemi, di esigenze di carattere sociale, civile, umano e politico; ci siamo trovati tante volte a fare delle scelte di forze politiche (dalla scelta centrista fino alla scelta del centro-sinistra). Io mi guardo bene dal parificare l'attuale congiuntura a queste altre, ma voglio dire che sull'umano, sul sociale, sull'economico e sul politico abbiamo saputo cambiare, quando era necessario ed era possibile in aderenza alla nostra coscienza democratico-cristiana.
Se non avessimo saputo cambiare la nostra posizione, quando era venuto il momento di farlo, non avremmo tenuto - malgrado tutto - per più di 30 anni la gestione della vita del Paese. Abbiamo tenuto perché siamo stati capaci di flessibilità ed insieme di una assoluta coerenza con noi stessi, sicché in nessun momento abbiamo smarrito il collegamento con le radici profonde del nostro essere nella società italiana.
La nostra flessibilità ha salvato fin qui, più che il nostro potere la democrazia italiana. Lo dico sapendo che le cose oggi sono diverse; sono molto più grandi; hanno bisogno di una misura, di un limite, perché le cose alle quali guardiamo insieme problematicamente si inseriscano nella linea della flessibilità costruttiva e non nell'ambito delle posizioni incoerenti e suicide.
A necessario quindi guardare alla situazione e guardare alle alternative.
Ho fastidio nel domandare ad amici con cui si discute in amicizia quali sono le alternative a qualcosa che noi non ci sentiremmo di fare.
E quindi assicuro che, quando dico queste cose, non intendo rivolgermi con senso di sfida a nessuno degli amici. Questa domanda credo che ciascuno di noi se la sia posta e se la ponga angosciosamente ogni giorno. Quali sono le possibili alternative in presenza di una crisi che è quella che è, in presenza di certe sollecitazioni, in presenza di certi rischi che noi cogliamo all'orizzonte?
Quali rischi corriamo all'orizzonte? Dobbiamo dirle tra noi queste cose e le dico perché riflettiamo tutti insieme. Quando fossi certo che abbiamo riflettuto insieme e deciso insieme, io sarei fermissimo, felice di andare con voi, qualunque cosa accada. L'importante è che noi sappiamo bene che cosa si profila all'orizzonte, almeno che cosa potrebbe profilarsi. Non è facile sapere. C'è della sfida, c'è della realtà, c'è della esasperazione, c'è un'illusione?
Che cosa io vedo come possibile sulla base di quello che si dice, che si può intuire? Qualche cosa che può non essere vera, può incontrare delle difficoltà obiettive, ma che ha un determinato grado di pericolosità che noi, cari amici, dobbiamo cogliere nella nostra responsabilità.
Ecco, vedo il rischio di una deviazione nella gestione del potere. Cioè di quel che si dice "passare la mano". Non passare la mano degli uomini, come accadeva una volta, quando avevamo tanto spazio, ma passare la mano da uno schieramento all'altro. E' una cosa possibile, è una cosa probabile? Non lo so. Io non lo so. Mettiamola fra le cose problematiche, tra le tante cose problematiche che debbono essere presenti alla nostra coscienza. Potrebbe non essere vero, ma potrebbe anche esserlo, qualora una situazione elettorale si profilasse all'orizzonte e della quale ho una certa convinzione che difficilmente sarebbe fatta con gli strumenti tradizionali della Democrazia cristiana.
Una deviazione nella gestione del potere potrebbe essere una provocazione, una eccitazione o un proposito più serio. Lascio il dubbio su questo. L'alternativa elettorale - che è stato detto da tutti non essere nelle nostre mani - non avrebbe del resto carattere risolutivo e presumibilmente aggraverebbe, avvenendo a questo punto, quel reciproco condizionamento delle due grandi forze di cui si diceva. Esse si ritroverebbero faccia a faccia, presumibilmente con un ulteriore logoramento delle forze intermedie.
Ed allora non sarebbe forse possibile che queste forze intermedie, per parare una minaccia di cui esse devono sentire tutto il peso, acconsentissero, almeno per un certo tempo, ad una certa operazione politica? Sono dei dati che dobbiamo avere dinanzi.
Io mi compiaccio di nostri amici che all'inizio hanno parlato di elezioni con l'impeto di chi dice: c'è qui una dignità offesa, una menomazione della nostra personalità, piuttosto andiamo alle elezioni! Certo, io apprezzo e condivido questo stato d'animo di coraggio. Certamente se ve ne fossero le condizioni, esse risponderebbero per noi ad una ragione di dignità. Dire all'elettore: ritorno a te, fedele, limpido. Ecco un atto di testimonianza (cosa importante)! Ma c'è da considerare altri aspetti: il logoramento delle forze intermedie, il ripristino, presumibile in questa fase politica, della situazione di stallo. Man mano però che si veniva parlando, sembrava evidente che si tratta di un cammino difficile, impervio, probabilmente inconcludente. Non è detto che le elezioni non possano essere desiderate da altri, anche se essi pure si rendono conto del peso che esse avrebbero.
Io credo che dobbiamo domandarci sempre, anche di fronte ai grandi fatti politici che non sono regolati dalla pura convenienza (ed io non credo che la politica sia pura convenienza, ha coefficienti di convenienza, ma non è pura convenienza; la politica è anche ideale), dobbiamo domandarci, dicevo, di fronte a questa situazione vogliamo fare della testimonianza, cioè una cosa idealmente apprezzabile, rendendo omaggio alla verità in cui crediamo, ai rapporti di lealtà che ci stringono al Paese, o vogliamo promuovere una iniziativa coraggiosa, una iniziativa appropriata alla situazione, la quale sia nella linea che abbiamo indicato, e naturalmente nelle condizioni nuove nelle quali noi ci troviamo?
Ecco, ad un amico, nel corso di un piccolo cenacolo che ha avuto il pregio di svolgersi nella più assoluta discrezione (fatto più unico che raro nella politica italiana), il quale mi chiedeva: si va alle elezioni, bisogna fare le elezioni come testimonianza? Ho risposto: questa è certo la cosa più pulita, risponde ad una coscienza cristallina. Ma se dovessi guardare alla difesa - che pure tocca a noi - di alcuni interessi (non grandi interessi, ma i normali, legittimi interessi di 14 milioni di elettori), se dovessi scegliere, per quanto riguarda la loro integrità, avrei qualche esitazione. Non ho scelto e non scelgo: dico solo che avrei delle esitazioni a scegliere la via della testimonianza.
Però, certamente non esiterei ad andare alle elezioni o a passare all'opposizione, se mi si rompesse tra le mani il meccanismo di ideali e di valori che abbiamo costruito insieme nel corso di questi anni.
Se si trattasse di questo, di fare anche l'ultima elezione per mantenere fede ai nostri ideali democratici cristiani, se la posta in gioco lo richiedesse, lo dovremmo fare. Se invece vi è, nella pazienza, nella ricerca, nel ritmo della nostra conduzione della crisi, una via che ci si apra dinanzi e che ci permetta di restare sostanzialmente nella nostra linea, anche se su un terreno nuovo e più esposto, allora io sarei certamente più cauto.
Terreno nuovo e più esposto, dicevo: sì, cari amici, questo terreno nuovo e più esposto c'è già, già ci siamo sopra nella vita politica (forse anche per qualche errore di amici periferici, ma anche per situazioni obiettive, difficili da dominare) in molte articolazioni dello Stato democratico. Esso è cosi multiforme che nessuna vittoria elettorale ce lo potrebbe dare tutto.
E ci siamo già - vi dicevo - con altri, nella vita sociale, nei sindacati, nelle associazioni civili, negli organismi culturali, nelle innumerevoli tavole rotonde alle quali siamo presenti. Questa è la realtà sociale, alla quale naturalmente io non vedo alternative, perché mi rendo conto che le cose camminano con un loro impeto.
Ma vogliamo renderci conto di quanto sia diversa la realtà sociale italiana di oggi, in confronto con quella di anni fa? Ricordo che l'on. De Gasperi (e questa sarà la mia unica citazione, che faccio solo per il rigore della persona alla quale mi richiamo) raccomandava a tutti noi di essere sostenuti e un po' riservati in ogni nostro contatto, di aula o di corridoio, con i colleghi comunisti.
Ecco, c'è una diversità che si è determinata per la forza delle cose. Non voglio da ciò trarre illazioni. Tutto ciò, cari amici, mi serve per dire che dobbiamo essere consapevoli di quanto le cose siano oggi più difficili in questo Paese che si è rimescolato, un po' rendendosene conto e un po' no.
Allora, cari amici, il problema è quello di un limite da stabilire, sempre restando nella linea di quell'intesa di programma che abbiamo portato fino a un certo punto, con alcuni contenuti ed alcune integrazioni. Ecco. Siamo stati unanimi in direzione (voi avete accolto questa indicazione) nel dire no al Governo di emergenza; nel dire no ad una coalizione politica generale con il Partito comunista. Anche dallo svolgimento degli interventi, avete visto che qui vi è un atteggiamento unanime e netto della Democrazia cristiana, al punto che c'è da stupirsi che il Partito comunista abbia voluto chiedere una cosa che era scontato che non potesse avere.
Questa è una cosa importante e dobbiamo ridirla in questo momento: è importante per ora ed è importante anche per dopo. C'è un dovere reciproco di lealtà, di far comprendere quali sono i limiti al di là dei quali noi non possiamo andare. Una intesa politica, che introduca il Partito comunista in piena solidarietà politica con noi, non la riteniamo possibile anche se rispettiamo altri partiti che la ritengono possibile in vista di un bene maggiore, come un accordo impegnativo di programma.
Sappiamo che vi è in gioco un delicatissimo tema di politica estera che sfioro appena. Vi sono posizioni che non sono solo nostre, ma riguardano anche altri Paesi, altre opinioni pubbliche, con le quali siamo collegati. Quindi, dati di fatto obbiettivi.
In Europa si registra diffidenza, in attesa di un ulteriore chiarimento sullo sviluppo delle cose. Sappiamo poi che sono in gioco, in presenza di una insufficiente esperienza, quel pluralismo e quella libertà che sono le cose più importanti del nostro patrimonio ideale che vogliamo ad ogni costo preservare.
Vi è la richiesta di qualcosa che vada al di là del programma concordato a sei; ebbene la direzione ne ha parlato in termini cauti, naturalmente lasciando un certo margine di interpretazione. Si può immaginare cioè una convergenza sul programma, un programma arricchito, adeguato al momento che attraversiamo, una convergenza che si esprima - mi par di capire - con adesioni positive. Cioè, al sistema delle astensioni, della non opposizione, si dovrebbe sostituire un sistema di adesioni.
So che vi è un passaggio difficile a questo punto, relativo al modo come si lega la concordia sul programma con l'adesione al Governo. Credo che questo debba essere oggetto di attenta considerazione nella direzione e nell'ulteriore lavoro, che, se voi consentirete, sarà svolto dalla delegazione. Ma si tratta appunto di queste cose, non di altre cose. Intesa, quindi, sul programma, che risponda all'emergenza reale che è nella nostra società. E questo consentitemi, pur nella mia sincera problematicità, di dirlo: io credo all'emergenza, io temo l'emergenza. Essa c'è sul terreno economico-sociale. Noi possiamo anche dire che qualcuno ha interpretato troppo rapidamente una radunata di metalmeccanici, ma credo che tutti dovremmo essere preoccupati di certe possibili forme di impazienza e di rabbia, che potrebbero scatenarsi nel contesto sociale, di fronte ad una situazione che ha bisogno di essere corretta, ma che ha bisogno di un certo tempo per diventare costruttiva.
C'è la crisi dell'ordine democratico, la crisi latente con alcune punte acute. Non guardate soltanto, amici, alle punte acute per quanto siano estremamente pungenti. Guardate alle forme endemiche, alle forme di anarchismo dilagante, cui forse ha dato il destro per imprudenza lo stesso Partito comunista, quando ha deciso di convogliare nella grande opposizione alla Democrazia cristiana le forze soprattutto giovanili nel Paese.
Io temo le punte acute, ma temo il dato serpeggiante del rifiuto dell'autorità, della deformazione della libertà, che non sappia accettare né vincoli né solidarietà. Questo io temo, e penso che l'aiuto di altri ci possa giovare nel cercare di riparare questa crisi della nostra società.
Abbiamo quindi una emergenza economica ed una emergenza politica. Io sento parlare di opposizione, del gioco della maggioranza e dell'opposizione. Sono in linea di principio pienamente d'accordo: nel nostro sistema, che è il migliore anche se limitato ad un esiguo numero di Stati privilegiati, questa idea di una maggioranza e di una opposizione intangibili ed intercambiabili, mi pare cosa di grandissimo significato.
Ma immaginate cosa avverrebbe in Italia in questo momento storico se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione (da chiunque fosse condotta, da noi o da altri), se questo Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova da una opposizione condotta fino in fondo? Ecco che cosa è l'emergenza ed ecco che cosa consiglia una sorta di tregua e suggerisce di riflettere su un modo accettabile per uscire da questa crisi.
Ho ascoltato con grande interesse le cose dette da Donat Cattin: credo si potrebbe accettare. Ma, cari amici, non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità.
Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà. Quel che è importante è affinare l'animo, delineare meglio la fisionomia, arricchire il patrimonio ideale della Democrazia cristiana. Quel che è importante, in questo passaggio, se voi lo vorrete, se esso sarà obiettivamente possibile, moderato e significativo, è preservare ad ogni costo la unità della Democrazia cristiana.
Per questo apprezzo tutti e dico a tutti: siamo vicini! Non mi piace sentir dire: io voto contro. Perché questo mi sembra una mancanza di fiducia pregiudiziale nella Democrazia cristiana. E' vero quel che io ho detto, che se dovessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme. Se dovessimo riuscire, ah! certo sarebbe estremamente bello riuscire insieme. Ma essere sempre insieme!
C'è chi ha parlato in questi giorni del timore della egemonia comunista e si è domandato: che cosa avete voi, democratici cristiani, da contrapporre democraticamente a questa forza avvolgente che certamente è il Partito comunista? Dico che noi abbiamo la nostra idealità e la nostra unità. Non disperdiamole!
Si parla di un elettorato liberal-democratico. Certo, noi siamo veramente capaci di rappresentare, a livello di grandi masse, questa forza ideale.
Ma ricordiamoci della nostra caratterizzazione cristiana e della nostra anima popolare. Ricordiamo quindi quello che siamo. Siamo importanti, ma siamo importanti per questo amalgama che caratterizza da trent'anni la Democrazia cristiana. Se non siamo declinati è perché siamo tutte queste cose insieme. E senza queste cose non saremmo il più grande partito popolare italiano. Conserviamo la nostra fisionomia e conserviamo la nostra unità.
Chi pensa di far bene dissociando, dividendo le forze, sappia che fa il regalo tardivo del sorpasso al Partito comunista.
Sono certo che nessuno di noi lo farà, che noi procederemo insieme, credo concordando, se necessario in qualche modo discordando, ma con amicizia. Camminiamo insieme perché l'avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.
 
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