L'affare Cirillo. L'atto di accusa del giudice Carlo Alemi
Edito da Editori Riuniti, 1989
250 pagine
ISBN 8835932483
Libro presente nelle categorie:
Recensione
remessa necessaria, altrimenti non si capisce niente: questo libro raggruppa ampi stralci della sentenza ordinanza depositata il 28 luglio 1988 dal giudice Carlo Alemi titolare dell’inchiesta sul sequestro e la liberazione dell’assessore della regione Campania Ciro Cirillo da parte delle Brigate rosse – Partito della Guerriglia. Il sequestro Cirillo, protrattosi per 86 giorni, sembra un episodio partorito dalla fantasia di uno scrittore di gialli particolarmente ispirato, qualcosa che va al di là di qualsiasi distinzione tra fantasia e realtà, una vicenda che riassume in sé tutti i tratti fondamentali del contesto politico, sociale e culturale dell’Italia degli anni Ottanta. Riassunto ai minimi termini: per la liberazione di Ciro Cirillo, avvenuta dietro il pagamento di un ingente riscatto, lo Stato italiano intavola una trattativa con il partito armato avvalendosi della mediazione della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Luogo della trattativa: il carcere di massima sicurezza di Ascoli Piceno, dal quale entrano ed escono nella più assoluta libertà esponenti politici di primissimo piano, uomini dei servizi segreti, faccendieri, detenuti-staffetta provenienti da altri istituti di pena, latitanti, terroristi e che più ne ha più ne metta. Una lunghissima e variegata carovana che il partito della fermezza dei tempi dell’affare Moro mette in moto per salvaguardare un ostaggio prezioso, vero e proprio garante dei fragili equilibri di potere vigenti in Campania e nel Sud Italia.
Conclusasi la trattativa con successo, c’è stato chi ha avuto la brillante idea di cercare di fare un po’ di luce in questo delirio collettivo; Carlo Alemi fu tra questi, essendo il titolare dell’inchiesta sul caso Cirillo. Le sue indagini produssero una sentenza ordinanza di 1.535 pagine che vengono appunto qui riassunte e suddivise in sette capitoli; diciamo subito che queste pagine andrebbero lette tutte d’un fiato non tanto per venire a conoscenza di uno degli episodi più oscuri dell’intera storia del partito armato, quanto piuttosto per capire che cos’è stata l’Italia di neppure due decenni fa, senza peraltro illudersi troppo sul fatto che oggi le cose siano molto differenti.
La gestione del caso Cirillo è quanto di peggio ha saputo produrre la “lotta” dello Stato all’eversione armata, la ricostruzione fornita da Alemi lascia il lettore esterrefatto non tanto per la gravità dei fatti che vi compaiono, quanto per sistematicità, la costanza con i quali vengono ripetuti e reiterati, nel disprezzo più assoluto di ogni regola da parte di chi di quelle regole avrebbe dovuto farsi garante e primo interprete. Ne viene fuori il ritratto impietoso di una classe dirigente, quella democristiana, nell’interpretazione di tutti i suoi più celebri esponenti, preda di un delirio di onnipotenza e di impunità che la convince di potersi sovrapporre e identificare con la criminalità organizzata, sia di stampo eversivo che di stampo mafioso. Nel caso Cirillo scompaiono tutti i confini e le distinzioni, anche quelle più elementari, tra legalità e illegalità, bene e male, giusto e sbagliato; tutto confluisce in un unico calderone nel quale a dominare è il disprezzo delle regole, l’arroganza del potere, la superbia dell’impunità.
Carlo Alemi ha pagato cara questa sentenza ordinanza, subendo negli anni immediatamente successivi attacchi violenti alla sua persona e al suo operato di giudice indipendente, un fuoco di fila incrociato proveniente da quegli stessi scranni parlamentari messi sotto accusa dalla ricostruzione storico-giudiziaria fornita dal giudice. E per ironia della sorta saranno proprio le rivelazioni postume del pentito Raffaele Cutolo a riabilitarne il lavoro e la professionalità, proprio mentre l’allora Presidente del Consiglio Ciriaco De Mita sosteneva a gran voce che, in virtù delle indagine compiute e dei risultati conseguiti il giudice Alemi si sarebbe posto al di fuori del circuito costituzionale.
Bene contro male, giusto contro sbagliato, legalità contro illegalità…
(Fonte: BrigateRosse.org)
remessa necessaria, altrimenti non si capisce niente: questo libro raggruppa ampi stralci della sentenza ordinanza depositata il 28 luglio 1988 dal giudice Carlo Alemi titolare dell’inchiesta sul sequestro e la liberazione dell’assessore della regione Campania Ciro Cirillo da parte delle Brigate rosse – Partito della Guerriglia. Il sequestro Cirillo, protrattosi per 86 giorni, sembra un episodio partorito dalla fantasia di uno scrittore di gialli particolarmente ispirato, qualcosa che va al di là di qualsiasi distinzione tra fantasia e realtà, una vicenda che riassume in sé tutti i tratti fondamentali del contesto politico, sociale e culturale dell’Italia degli anni Ottanta. Riassunto ai minimi termini: per la liberazione di Ciro Cirillo, avvenuta dietro il pagamento di un ingente riscatto, lo Stato italiano intavola una trattativa con il partito armato avvalendosi della mediazione della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Luogo della trattativa: il carcere di massima sicurezza di Ascoli Piceno, dal quale entrano ed escono nella più assoluta libertà esponenti politici di primissimo piano, uomini dei servizi segreti, faccendieri, detenuti-staffetta provenienti da altri istituti di pena, latitanti, terroristi e che più ne ha più ne metta. Una lunghissima e variegata carovana che il partito della fermezza dei tempi dell’affare Moro mette in moto per salvaguardare un ostaggio prezioso, vero e proprio garante dei fragili equilibri di potere vigenti in Campania e nel Sud Italia.
Conclusasi la trattativa con successo, c’è stato chi ha avuto la brillante idea di cercare di fare un po’ di luce in questo delirio collettivo; Carlo Alemi fu tra questi, essendo il titolare dell’inchiesta sul caso Cirillo. Le sue indagini produssero una sentenza ordinanza di 1.535 pagine che vengono appunto qui riassunte e suddivise in sette capitoli; diciamo subito che queste pagine andrebbero lette tutte d’un fiato non tanto per venire a conoscenza di uno degli episodi più oscuri dell’intera storia del partito armato, quanto piuttosto per capire che cos’è stata l’Italia di neppure due decenni fa, senza peraltro illudersi troppo sul fatto che oggi le cose siano molto differenti.
La gestione del caso Cirillo è quanto di peggio ha saputo produrre la “lotta” dello Stato all’eversione armata, la ricostruzione fornita da Alemi lascia il lettore esterrefatto non tanto per la gravità dei fatti che vi compaiono, quanto per sistematicità, la costanza con i quali vengono ripetuti e reiterati, nel disprezzo più assoluto di ogni regola da parte di chi di quelle regole avrebbe dovuto farsi garante e primo interprete. Ne viene fuori il ritratto impietoso di una classe dirigente, quella democristiana, nell’interpretazione di tutti i suoi più celebri esponenti, preda di un delirio di onnipotenza e di impunità che la convince di potersi sovrapporre e identificare con la criminalità organizzata, sia di stampo eversivo che di stampo mafioso. Nel caso Cirillo scompaiono tutti i confini e le distinzioni, anche quelle più elementari, tra legalità e illegalità, bene e male, giusto e sbagliato; tutto confluisce in un unico calderone nel quale a dominare è il disprezzo delle regole, l’arroganza del potere, la superbia dell’impunità.
Carlo Alemi ha pagato cara questa sentenza ordinanza, subendo negli anni immediatamente successivi attacchi violenti alla sua persona e al suo operato di giudice indipendente, un fuoco di fila incrociato proveniente da quegli stessi scranni parlamentari messi sotto accusa dalla ricostruzione storico-giudiziaria fornita dal giudice. E per ironia della sorta saranno proprio le rivelazioni postume del pentito Raffaele Cutolo a riabilitarne il lavoro e la professionalità, proprio mentre l’allora Presidente del Consiglio Ciriaco De Mita sosteneva a gran voce che, in virtù delle indagine compiute e dei risultati conseguiti il giudice Alemi si sarebbe posto al di fuori del circuito costituzionale.
Bene contro male, giusto contro sbagliato, legalità contro illegalità…
(Fonte: BrigateRosse.org)