Da La Repubblica del 29/04/2005
In aula magistrati che erano ragazzi al tempo dell´attentato. Per un processo logorato dal tempo
I 35 anni del processo dalle nebbie alle prove
Pasolini scrisse: io so i nomi dei responsabili Ma non ho prove. Non ho nemmeno indizi.
I racconti dei pentiti e le testimonianze rivelati ogni volta fuori tempo massimo
di Giovanni Maria Bellu
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ROMA - Benché abbia concluso chiedendo la conferma delle assoluzioni, il procuratore generale Enrico Delehaye ha pronunciato, forse involontariamente, una requisitoria durissima. E se sul banco degli accusati non ci fossero stati tre maturi neofascisti ma l´interminabile dopoguerra italiano, certamente il procuratore generale avrebbe formulato una richiesta diversa. Si è detto amareggiato, ha parlato di una "sconfitta investigativa", ma la frase più ferocemente accusatoria è stata un´altra: «Al tempo della strage ero un giovane magistrato all´inizio della carriera e mai avrei immaginato che, trentacinque anni dopo, me ne sarei occupato in Cassazione».
Si potrebbe costruire un poema tragico con le definizioni che nel tempo sono state utilizzate per la strage di Piazza Fontana. Dalla prima, e più azzeccata nel merito, "La strage di Stato", al titolo d´uno degli ultimi libri usciti sull´argomento "La strage coi capelli bianchi". Passando attraverso "Il giorno dell´innocenza perduta" per arrivare a "Il nostro Vietnam". Alcuni giudizi nacquero già in forma poetica, come quello, celeberrimo, di Pier Paolo Pasolini: «Io so / Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe... io so i nomi dei responsabili della strage di Milano... Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi». Era il 1974.
La strage di Piazza Fontana, anno dopo anno - a dispetto dei risultati investigativi che continuavano ad essere raggiunti - è diventata sempre più un luogo della memoria collettiva, uno strumento per misurare il tempo. Riflessioni analoghe a quelle del procuratore generale Delehaye sono state fatte dal magistrato milanese Guido Salvini - cui si deve il merito dell´ultimo processo, comunque vada a finire - che al tempo della strage era un ragazzo. Piazza Fontana potrebbe consentire, a chi lo volesse, di usare lo stesso incipit per biografie diverse. Quella di Renato Curcio, il fondatore delle Brigate rosse («Con Piazza Fontana ritenni che la prospettiva di uno scontro frontale con il sistema politico fosse ormai inevitabile»); quella di Adriano Sofri («Mi chiedo: senza la strage di piazza Fontana avrei tirato la prima pietra, o no?»); quella dell´editore Gian Giacomo Feltrinelli. E poi quelle dei politici dell´epoca. Come Mariano Rumor che ne restò emotivamente travolto, e Giulio Andreotti che in qualche modo tentò di governarne gli effetti e ancora non ha finito di spiegarsi.
Il trascorrere del tempo ha risolto e dissolto l´inchiesta. Sono arrivati non solo gli indizi, che nel 1974 mancavano a Pasolini, ma anche le prove, le testimonianze, i racconti dettagliati dei pentiti. Ma sempre troppo tardi, sempre un momento dopo, come se all´Italia fosse concessa la verità solo quando non può produrre effetti. Se nel 1984, quando si celebrò a Catanzaro il processo contro Freda e Ventura, oltre che contro l´innocente Valpreda, i giudici avessero potuto disporre egli elementi raccolti negli anni Novanta, i due neofascisti sarebbero stati condannati. E se il pentito Carlo Digilio avesse maturato un po´ prima la decisione di parlare, la difesa degli imputati attuali avrebbe avuto qualche difficoltà a contestarne l´attendibilità a partire dalle pessime condizioni fisiche e mentali. Se il giudice Salvini avesse incrociato un po´ prima l´altro pentito, Martino Siciliano, forse si sarebbe imbattuto in un Delfo Zorzi meno danaroso, meno potente. Chissà, forse non nelle condizioni di permettersi, come legale, l´ex avvocato dei familiari delle vittime, presidente della commissione giustizia della Camera, Gaetano Pecorella.
L´irato "io so" di Pasolini è diventato un insieme dei fatti acquisiti dalla storia, dalla giustizia si vedrà: furono i fascisti a compiere la strage di Piazza Fontana. La organizzarono con la copertura di elementi dei servizi segreti italiani e di agenti americani. Probabilmente speravano di creare una situazione tale da portare alla dichiarazione dello stato d´emergenza e all´instaurazione di un governo autoritario. Era, per i più anziani tra loro, un altro passo di una lunga e sporca strada che, cominciata a Salò, li avrebbe portati a macchiare di sangue il centro di Milano e, cinque anni dopo, piazza della Loggia a Brescia. E siccome le impunità seguono la stessa catena logica delle responsabilità, se la Cassazione darà retta al procuratore generale Delehaye, sarà di fatto dissolta anche l´ultima istruttoria in corso sui fatti di quegli anni, appunto quella sulla strage di Brescia. Intanto si consumano in uno scantinato del tribunale di Catanzaro gli atti dei quattro processi che furono celebrati là, dal 1972 al 1981, perché a Milano il clima non era stato ritenuto sufficientemente sereno. Si tratta di quintali di memoria giudiziaria ormai a rischio di prescrizione chimica. Lo sfacelo è stato scoperto da una ricercatrice calabrese. Si chiama Maria Itri. E forse non è un caso, ma una speranza, che abbia solo 24 anni.
Si potrebbe costruire un poema tragico con le definizioni che nel tempo sono state utilizzate per la strage di Piazza Fontana. Dalla prima, e più azzeccata nel merito, "La strage di Stato", al titolo d´uno degli ultimi libri usciti sull´argomento "La strage coi capelli bianchi". Passando attraverso "Il giorno dell´innocenza perduta" per arrivare a "Il nostro Vietnam". Alcuni giudizi nacquero già in forma poetica, come quello, celeberrimo, di Pier Paolo Pasolini: «Io so / Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe... io so i nomi dei responsabili della strage di Milano... Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi». Era il 1974.
La strage di Piazza Fontana, anno dopo anno - a dispetto dei risultati investigativi che continuavano ad essere raggiunti - è diventata sempre più un luogo della memoria collettiva, uno strumento per misurare il tempo. Riflessioni analoghe a quelle del procuratore generale Delehaye sono state fatte dal magistrato milanese Guido Salvini - cui si deve il merito dell´ultimo processo, comunque vada a finire - che al tempo della strage era un ragazzo. Piazza Fontana potrebbe consentire, a chi lo volesse, di usare lo stesso incipit per biografie diverse. Quella di Renato Curcio, il fondatore delle Brigate rosse («Con Piazza Fontana ritenni che la prospettiva di uno scontro frontale con il sistema politico fosse ormai inevitabile»); quella di Adriano Sofri («Mi chiedo: senza la strage di piazza Fontana avrei tirato la prima pietra, o no?»); quella dell´editore Gian Giacomo Feltrinelli. E poi quelle dei politici dell´epoca. Come Mariano Rumor che ne restò emotivamente travolto, e Giulio Andreotti che in qualche modo tentò di governarne gli effetti e ancora non ha finito di spiegarsi.
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Pier Paolo Pasolini
"Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l’azione e l’utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo."
Saggi sulla politica e sulla società |
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