Tano Grasso

Imprenditore − Italia

Commerciante, laureato in filosofia, è stato il presidente della prima associazione antiracket costituita in Italia (l'ACIO di Capo d'Orlando). E' stato eletto deputato nel 1992 e riconfermato nel 1994 ed è stato in entrambe le legislature componente della Commissione Antimafia. Ha pubblicato con l'editore Laterza Contro il racket. Come opporsi al ricatto mafioso (1992) e con Baldini e Castoldi Ladri di vita. Storie di strozzini e disperati (1996).
Il 15 agosto 1999 Tano Grasso è nominato commissario ordinario in base all'articolo 19 della legge 44 del '99 (legge antiracket) che fissa la durata dell'incarico in quattro anni, per assicurare autonomia e stabilità a un ruolo considerato istituzionale. Forte di ciò inizia il suo lavoro i cui risultati sono oggettivamente riscontrabili anche con la sola lettura delle statistiche e nei confronti del quale nessun giudizio di merito di segno negativo è stato formulato. E' il primo commissario "ordinario" previsto dalla legge antiracket che superava la straordinarietà dell'incarico sciogliendo quella figura dai giochi politici e dai cambi di governo. Solo per pagargli lo stipendio, non previsto per un errore dalla legge, per Grasso si ricorse dopo la nomina alla legge 400 della presidenza del Consiglio che dà a palazzo Chigi la possibilità di nominare commissari "straordinari".
Ma la decisione del ministro dell'Interno Claudio Scajola di nominare il prefetto Rino Monaco commissario straordinario - dopo che invece a luglio aveva chiesto al premier di attribuire questo ruolo per due anni proprio a Grasso, esprimendo tra l'altro "apprezzamento" per il lavoro svolto da questi - ha spinto il commissario alle dimissioni il 30 ottobre 2001 dalla carica di commissario antiracket, che ricopriva dal 1999. Tano Grasso non risparmia critiche al governo e in particolare al ministro degli Interni, Claudio Scajola. In una conferenza stampa, l'ex commissario afferma che l'esecutivo ha aperto "una ferita grave" nel rapporto con i cittadini, nominando un nuovo commissario straordinario - il prefetto Rino Monaco - e ha definito un delitto da parte del governo la scelta di politicizzare l'antiracket. Grasso ha poi difeso il suo operato, rivendicando i risultati raggiunti, primo fra tutti l'incremento delle denunce per usura, e ha assicurato che rimarrà a lavorare nel settore, alla guida della federazione della associazioni antiracket italiane. "E' stata - ha spiegato Grasso - una grave scorrettezza istituzionale". "Ci si è resi conto che era impossibile la mia rimozione visto che il mio incarico scadeva nell'agosto del 2003, e allora si è ricorsi al sotterfugio di nominare un commissario straordinario. Con l'effetto oggettivo di delegittimare il sottoscritto".
La controreplica di Scajola, secondo cui è stato "semplicemente per esercitare un diritto di scelta" del governo che Tano Grasso non è stato confermato nell'incarico. "Abbiamo designato - ha detto il ministro, intervistato da Enzo Biagi per la puntata del 'Fatto' - un uomo come il prefetto Rino Monaco, un uomo che ha una storia molto importante nella lotta alla criminalità". Si tratta di Rino Monaco, vicecapo della polizia fino al maggio 2000 quando, giunto al posto di comando De Gennaro, fu licenziato in tronco e spedito a fare il prefetto di Taranto. Incarico di cui non ha fatto che lamentarsi.
Lo stesso Scajola aveva definito un "pasticcio" la coesistenza di due commissari, quello "ordinario" Grasso in carica dal 15 agosto '99, e quello "straordinario" Monaco. Come unica giustificazione ufficiale del Viminale si appunta su una data: l'incarico di Grasso sarebbe scaduto il 16 agosto 2001. Un errore: due anni prima Grasso fu nominato commissario "ordinario" per quattro anni in base alla legge antiracket e solo per pagargli uno stipendio fu utilizzata la legge 400 che dà a palazzo Chigi la possibilità di nominare commissari "straordinari", come nel caso di Monaco.
L'assurdità burocratica e politica delle due figure è finita, Grasso ha sbattuto la porta in modo fragoroso e con una doppia mossa: una lettera diretta a Scajola e un'intervista al "Fatto" di Biagi in cui non si è tirato indietro dal dire: "Il governo mi ha delegittimato e quindi sono stato costretto a dimettermi. La mia gente ha bisogno d'aiuto e un commissario debole non è nelle condizioni di darlo". Nella missiva al ministro ha ripetuto lo stesso concetto: "La nomina di un nuovo commissario ha costituito una grave delegittimazione del mio ruolo in un'attività in cui non è consentito il minino indebolimento, perché sono in gioco la vita e la speranza delle vittime di racket e usura". L'ormai ex commissario ha aggiunto un'altra considerazione che al Viminale sembrano far finta di ignorare, ma che è scritta nella storia stessa della legge antiracket. "La nuova nomina - spiega Grasso - ha rappresentato una grave scorrettezza istituzionale, anzi una vera e propria violenza alla forma e allo spirito della legge del '99". Quelle norme, per cui l'allora esponente delle associazioni si batté con vigore e contro i governi della sinistra che lasciavano ristagnare la definitiva approvazione del regolamento, trasforma la figura del commissario "straordinario" nominato da Palazzo Chigi, in una figura "ordinaria", e quindi con una durata a termine, cioè quattro anni. Grasso era arrivato solo alla metà dell'incarico, ma il governo, senza una precisa ragione ma solo all'insegna dello spoil system, lo ha sostituito. Con questo cambio, sostiene Grasso, "viene abolito il principio della stabilità, della durata e dell'autonomia dalle dinamiche politiche del commissario".
Un effetto che, secondo Grasso, ha delle pesanti conseguenze: "In questo campo si ha a che fare con la vita di esseri umani - ha concluso l'ex commissario - e se vuoi essere loro di aiuto non puoi essere debole, altrimenti rendi tali anche loro". Pesanti critiche al governo sono state espresse anche dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti, e quello di Sos Impresa, Lino Busà.
Resta l'evidente delusione e sorpresa di Grasso che, senza alcun segnale né la contestazione di errori, s'è visto sostituire all'improvviso. "Ho dato fastidio, molto fastidio agli uomini del pizzo e di Cosa nostra e continuerò a farlo. Spero solo che questo gesto del governo non sia diretto verso le associazioni antiracket e antiusura perché se venisse meno la loro forza non sarebbe più possibile contrastare la violenza". Dal processo di Capo d'Orlando (1991) a oggi, Grasso non ha mai smesso di credere nella sua formula: "Contro la mafia si vince uniti. Da soli si muore". Per il governo in futuro sarà un interlocutore da responsabile della Federazione italiana antiracket.

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di Tano Grasso, Vincenzo Vasile edito da L'Unità, 2005
 
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