Da La Repubblica del 28/11/2005
Originale su http://www.repubblica.it/online/fatti/sofri/morucci/morucci.html
Tra le carte dei giudici milanesi anche la testimonianza di un ex brigatista che accusa il capo romano delle Br
"Calabresi fu ucciso da Valerio Morucci"
di AA.VV.
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ROMA - A uccidere il commissario Calabresi sarebbe stato un individuo noto nelle Brigate Rosse come "Matteo", che altri non sarebbe che Valerio Morucci. Questo l'ultimo elemento esaminato e subito respinto oggi dai giudici della quinta corte d'Appello di Milano che hanno dichiarato "inammissibile" l'istanza di revisione del processo Sofri. La dichiarazione risale al 6 marzo scorso, quando l'ex terrorista Raimondo Etro, condannato a 24 anni per concorso nell'uccisione di Aldo Moro, ha raccontato ai pm romani Franco Ionta, Antonio Marini e Piero De Crescenzo che Alessio Casimirri, ex militante di Potere operaio poi condannato per la strage di via Fani ed unico del commando che rapì Moro ancora latitante, gli avrebbe confidato che a uccidere Calabresi "era stato un individuo noto nelle Brigate Rosse come Matteo" e che "solo molto tempo dopo egli aveva saputo che Matteo altro non era che Valerio Morucci".
Una testimonianza che però i giudici milanesi, a cui i colleghi romani avevano inviato il verbale, non hanno ritenuto sufficiente per riaprire il processo. "Etro ha dichiarato che quando aveva letto sui giornali della richiesta di revisione del processo a Sofri", hanno scritto i magistrati, "aveva pensato di presentarsi spontaneamente per riferire ciò che aveva appreso dal Casimirri. Poi però non lo aveva fatto. Si era deciso successivamente per un debito di chiarezza e per dare il suo contributo, ritenendo che potessero esserci degli innocenti in prigione".
Non è nemmeno il caso di sottolineare, aggiungono i giudici, "quanto sia incongrua tale giustificazione, perchè, a parte i tentennamenti di questi ultimi mesi, Etro non ha spiegato per quale ragione non abbia sentito lo stesso impulso a fare chiarezza nell'arco dei quasi nove anni tra la confessione di Marino e la sentenza definitiva". Si tratta quindi di dichiarazioni "che non meritano alcuna attenzione, anche in virtù dell'impossibilità di verificarne, neppure in questa fase, il contenuto. Trattasi infatti di testimonianza 'de relato' fatta con riferimento ad un soggetto che Etro sapeva essersi reso irreperibile rifugiandosi all'estero". E ciò "consente di escludere qualsiasi attendibilità della riportata testimonianza".
Raimondo Etro è un ex terrorista, condannato a 24 anni e sei mesi nell'ambito del processo Moro-quinquies per concorso nel sequestro e nell'assassinio di Aldo Moro e per l'eccidio della scorta dell'ex presidente della Dc e per concorso nell'omicidio del giudice Riccardo Palma. Agente pubblicitario, nome di battaglia "Carletto", gli inquirenti ritengono che sia stato uno dei fondatori della colonna romana delle Br, in cui era entrato alla fine del 1976, nel periodo in cui Mario Moretti stava costituendo la "colonna" nella Capitale. Venne "arruolato" nella cosiddetta "brigata Primavalle", diretta da Valerio Morucci con il compito iniziale di trovare dei "prestanome", cioè di individuare alloggi per i brigatisti clandestini.
"Leggende metropolitane. D'altra parte ce ne sono tante. Tra un po' diranno che anche al Papa ho sparato io" è stato il commento dell'ex br Valerio Morucci. "Qui addirittura si ipotizza lo spostamento di responsabilità da un gruppo all'altro, da Lotta Continua a Potere Operaio. Mi pare francamente poco credibile".
Una testimonianza che però i giudici milanesi, a cui i colleghi romani avevano inviato il verbale, non hanno ritenuto sufficiente per riaprire il processo. "Etro ha dichiarato che quando aveva letto sui giornali della richiesta di revisione del processo a Sofri", hanno scritto i magistrati, "aveva pensato di presentarsi spontaneamente per riferire ciò che aveva appreso dal Casimirri. Poi però non lo aveva fatto. Si era deciso successivamente per un debito di chiarezza e per dare il suo contributo, ritenendo che potessero esserci degli innocenti in prigione".
Non è nemmeno il caso di sottolineare, aggiungono i giudici, "quanto sia incongrua tale giustificazione, perchè, a parte i tentennamenti di questi ultimi mesi, Etro non ha spiegato per quale ragione non abbia sentito lo stesso impulso a fare chiarezza nell'arco dei quasi nove anni tra la confessione di Marino e la sentenza definitiva". Si tratta quindi di dichiarazioni "che non meritano alcuna attenzione, anche in virtù dell'impossibilità di verificarne, neppure in questa fase, il contenuto. Trattasi infatti di testimonianza 'de relato' fatta con riferimento ad un soggetto che Etro sapeva essersi reso irreperibile rifugiandosi all'estero". E ciò "consente di escludere qualsiasi attendibilità della riportata testimonianza".
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