Da La Repubblica del 06/04/2000
Originale su http://www.repubblica.it/online/fatti/sofri/dariofo/dariofo.html

Una lettera del premio Nobel a "Repubblica": E' stata annullata la volontà dei giudici popolari"

L'orrendo papocchio del caso Sofri

di Dario Fo

Caro direttore, la cosiddetta "sentenza suicida" del processo Sofri, è stata ritirata in ballo, con una lettera alla Repubblica del 2 aprile, dal giudice Lucilio Gnocchi, presidente della sezione penale della Corte d'appello di Milano. Lucilio Gnocchi è il giudice che ha controfirmato "l'orrendo papocchio", cioè la sentenza beffa che permise di cancellare la decisione della quasi totalità dei membri di un collegio giudicante. Decisione di assoluzione dei tre di Lotta continua ritenuti non colpevoli dei reati ascritti, cioè innocenti. E innocente anche il loro accusatore, il pentito Marino.

Per i lettori distratti ci permetteremo un breve ripasso della sequenza dei processi in questione, condotto da un prestigioso giornale inglese, The Guardian; eccolo: "Il primo processo contro Sofri e i suoi compagni è durato due anni, ma proprio mentre stava per concludersi, emerse che, contrariamente a quanto inizialmente lasciato intendere dai carabinieri e dal pentito, il loro approccio, che avrebbe portato alla confessione di Marino e all'arresto dei suoi tre compagni di Lotta continua, non era durato tre giorni, ma si era protratto per circa 20 giorni. Marino venne giudicato e condannato, ma il periodo di carcere venne dapprima ridotto, in considerazione della sua condizione di testimone d'accusa, e infine annullato".

John Hooper, l'autore dell'articolo del Guardian, così prosegue: "Il processo e il ricorso portarono alla luce numerose imprecisioni e contraddizioni nella testimonianza di Marino". Costui "aveva affermato che uno degli uomini da lui accusati, Giorgio Pietrostefani, era presente nel momento in cui Sofri ordinava l'uccisione del commissario Calabresi mentre Pietrostefani fu in grado di dimostrare di essere stato altrove; il racconto di Marino circa lo svolgimento dell'omicidio venne contraddetto dalle perizie balistiche; lui aveva sostenuto che l'auto usata per la fuga era beige, quando in realtà era blu; e il suo resoconto del tragitto seguito per la fuga era incompatibile con la testimonianza dei presenti e le indagini di polizia". Ciò nonostante a Sofri, Pietrostefani e Bompressi - quest'ultimo, fu sostenuto, era quello che aveva premuto il grilletto - venne comminata una pena di 22 anni. Nel 1992, la vicenda aveva ormai raggiunto il più alto tribunale in Italia, ossia la Corte di Cassazione. Nel frattempo, a Torino, altri giudici avevano respinto un altro caso scaturito dalle asserzioni di Marino, giudicando quest'ultimo inattendibile come testimone. I membri della Corte di Cassazione fecero le medesime considerazioni, e capovolsero il verdetto di colpevolezza (espresso dalle due precedenti sentenze).

Nella maggior parte dei sistemi giuridici d'Europa, la vicenda si sarebbe conclusa così; ma in Italia il fatto che i giudici supremi si siano pronunciati in tuo favore non significa necessariamente che tu sia al sicuro. Dovevamo assistere a un ulteriore processo: il 21 dicembre 1993 tutti e tre gli imputati, com'era prevedibile, vennero ritenuti non colpevoli. Ma ancora non vennero lasciati andare. Per capire il perché di questo dobbiamo uscire dal mondo di Dickens e Orton, e entrare in quello di Lewis Carroll (l'autore di Alice nel paese delle meraviglie).

Il quarto processo fu condotto di fronte a quella che nella legge italiana è l'assemblea che più si avvicina a una giuria. I cosiddetti "giudici popolari" siedono accanto ai giudici togati, indossando una fascia nei colori rosso, bianco e verde della bandiera italiana, e hanno un'aria un po' imbarazzata. I giudici hanno sei voti contro i due dei togati. Ma una volta emessa la sentenza, il compito di redigere le motivazioni a sostegno della decisione conclusiva è lasciato a un giudice togato. E qui il commento del Guardian diventa davvero pesante, al limite dell'indignazione: "Questa prassi... lascia aperta la strada ad un abuso veramente scandaloso, ossia alla sentenza suicida: se il giudice cui è affidata la compilazione della motivazione del verdetto è in disaccordo - nel nostro caso era stato scelto il giudice a latere Pincione - questi ha la possibilità di redigere le motivazioni in modo così evidentemente illogico da assicurare che il verdetto venga respinto in sede di ricorso alla Corte di Cassazione. Proprio una tale sentenza suicida fu scritta per motivare il verdetto che assolveva Sofri e gli altri. Per cui, il 27 ottobre 1994, la Corte di Cassazione - la stessa Corte che due anni prima aveva coperto di ridicolo il testo che motivava la loro condanna - stilò un nuovo verdetto che capovolgeva la loro assoluzione". Di lì a qualche mese, veniva indetto un nuovo processo che condannava tutti e tre gli imputati, a 22 anni ciascuno, e liberava definitivamente Marino. Questa beffa è andata in scena nel paese che si gloria d'essere la Patria del diritto. E di questa vergognosa soluzione giuridica si sono fatte grosse risate i giornalisti di tutta Europa.

Ma veniamo finalmente alla spassosa lettera del giudice Gnocchi, Presidente della I sezione della Corte d'assise d'appello di Milano che ci svela una novità davvero strao rdinaria: la sentenza beffa-papocchio non fu il frutto di una sola mente beffeggiante ma di due cervelli della nostra grande tradizione dei machiavellici azzeccagarbugli. Infatti il nostro Giudice Lucilio, così si esprime: "La motivazione di quella sentenza, dall'estensore con me previamente concordata, è stata da me sottoscritta dopo averla approvata in ogni sua parte".

E qui siamo a un finale veramente spassoso: il Giudice Lucilio (personaggio classico della Commedia dell'Arte) ci vuol fare credere che il papocchio suicida sia opera che ha visto coautori coscienti i sei giudici popolari che serenamente, di comune accordo con i due togati, hanno deliberato prima di illudere pubblico e giudicati che si era addivenuti a una sentenza di innocenza e poi, scherzo degno di maestri clown, sorpresa!: tutto all'aria! Cari Sofri e banda, siete di nuovo incastrati! In galera! E come canto di chiusura il nostro giudice solfeggia: "Quella motivazione è assolutamente rispettosa (vorrei dire che è la "fotografia") della discussione svoltasi nei tre giorni di Camera di Consiglio e delle conclusioni cui, su ogni singolo punto e passaggio, si pervenne a seguito di regolare votazione".

Scusate ma personalmente non riesco a ridere, è un genere di umorismo che mi procura solo urti di vomito. Mi rasserena solo il pensiero che un galantuomo di grande autorità giuridica e morale come Ettore Gallo, presidente emerito della Corte costituzionale così commenti questa tragica beffa: No! il relatore (al quale ora si aggiunge il giudice Lucilio; n.r.) non può tradire in questo modo la decisione del collegio giudicante, riportando la sua opinione contraria, per dire "sì... insomma... rivalutando... riesaminando... riosservando... la sequenza degli avvenimenti riemerge... insomma... queste sono le nuove ragioni per cui doveva essere condannato", il tutto lungo il 97 per cento della sentenza, residuando le ultime tre paginette, però, in fondo: "Poi, la Corte d'Assise ha trovato alcune oscurità nei riscontri e ha ritenuto di assolverli".

Cosa poteva fare la Cassazione, alla quale "gioiosamente" è ricorso il Pubblico Ministero, se non annullare una sentenza del genere, manifestamente, come dice la prassi, "suicida"? È possibile immaginare un oltraggio peggiore: al buonsenso, alla legge, all'intero ordine giudiziario e - ovviamente - ai condannati di cui si giudica? No. Non è possibile! È possibile che il comportamento dei giudici della V sezione della Corte d'appello di Milano non sia stato sanzionato da una istanza superiore, il Csm, la Cassazione, il presidente della Repubblica che del Csm è presidente? È possibile. Perlomeno a giudicare dall'impunità di cui hanno goduto gli estensori della sentenza in questione, nessuno di loro è stato deferito al Csm - mentre, va ricordato, altri estensori di sentenze suicide lo sono stati e in particolare un caso è attualmente addirittura al vaglio della Corte costituzionale. Ma forse sono eccezioni che confermano la regola.

La comica finale esplode quando si scopre che da noi, nella Patria del diritto, sul fenomeno delle "sentenze suicide" si realizzano studi e, addirittura, si presentano tesi di laurea, così ci facciamo conoscere bene anche all'estero. Vi basti il titolo di una di queste tesi di laurea: "La sentenza suicida come soluzione ribaltante il processo non gradito a certe corporazioni di giudici togati". Per la cronaca il laureando che ha presentato lo studio in questione è stato respinto.

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Documenti


Ovidio Bompressi, la sua vicenda
Fonte: Corriere della Sera
17 maggio 1972 - Una cronologia degli eventi
L'omicidio del commissario Calabresi
Fonte: Misteri D'Italia
17 Maggio 1973
La strage della Questura di Milano
Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.

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