Da Il Velino del 11/04/2006
Moby Prince: dopo 15 anni ancora nessun colpevole
di Roberto Bortone
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Roma - Sono passati 15 anni da quella notte tra il 10 e l’11 aprile del 1991, quando il traghetto della compagnia Navarma Moby Prince andò a collidere con la super-petroliera Agip Abruzzo, ancorata al largo del porto di Livorno. Nebbia improvvisa, mancata segnalazione della posizione da parte della petroliera, radar non funzionante, guasto meccanico del timone al momento della virata. Tante le ipotesi formulate in quei giorni per spiegare una evento così tragico: 140 morti, un solo superstite. “C’è ancora gente a bordo! C’è ancora gente!”, il giovane mozzo Alessio Bertrand continua a ripetere la stessa frase mentre i soccorritori lo sollevano sul rimorchiatore che lo ha ripescato davanti al Moby Prince in fiamme. È in stato di shock. Non sa ancora di essere l’unico sopravvissuto del traghetto. Non sa ancora che i suoi amici, i suoi compagni di lavoro e tutti i passeggeri sono morti, arsi vivi dalle fiamme o uccisi dalle esalazioni tossiche dell’incendio.
Bertrand era al suo primo imbarco quel 10 di aprile. Le attività portuali a Livorno procedevano normalmente: alcune navi stazionavano alla fonda, tra cui quattro navi militarizzate degli Stati Uniti di ritorno dal Golfo; la super-petroliera Agip Abruzzo si stagliava all’imboccatura della rada con i suoi 35 metri di altezza, le bettoline e i rimorchiatori effettuavano le solite manovre all’interno del porto mentre il traghetto Prince della linea Moby partiva alle 22 in punto con il suo carico umano diretto in Sardegna. Altri venti minuti di normalità assoluta, poi l’inferno. Alle 22.25 un flebile segnale di May Day partito dalla sala radio del Moby Prince in collisione accese la miccia della più grande sciagura marittima della storia italiana in tempo di pace.
A dispetto degli anni trascorsi e dei tre processi celebrati, la dinamica degli eventi non è ancora chiara: l’ipotesi più probabile è che la petroliera Agip Abruzzo venne avvolta da un banco di nebbia fittissima pochi minuti prima del passaggio del traghetto Moby Prince il cui radar non era funzionante oppure non utilizzato nell’uscire dal Porto. Una imbarcazione in transito obbligò Ugo Chessa, capitano del Moby a cambiare improvvisamente rotta; la velocità elevata, un possibile guasto al timone e la visibilità ridotta a zero fecero il resto. Nell’impatto la prua del Moby si conficcò nel tank numero 7 della petroliera e iniziò ad imbarcare greggio dal portellone del garage lasciato incautamente aperto. Lo sfregamento delle lamiere provocò la scintilla. L’incendio iniziò a divorare velocemente lo scafo lasciando tuttavia il tempo ai passeggeri di indossare il giubbotto salvagente e di radunarsi all’interno del Salone De Lux, protetto dalle porte taglia-fuoco. I soccorsi coordinati dalla Capitaneria di Porto raggiunsero in pochi minuti la petroliera in fiamme. Il Moby Prince invece, con i motori ancora accesi, si avviò alla deriva nella sua odissea mortale. Venne raggiunto solo tre ore dopo.
Tre processi, di cui uno per depistaggio a carico di un tecnico della Navarma, non sono serviti ad accertare la verità e ad individuare un colpevole. Lo stato indecente del traghetto, verificato in sede processuale insieme alla negligenza del comandante dell’Agip nel segnalare acusticamente la petroliera coperta dalla nebbia, non furono mai sufficientemente provati. Una discussa sentenza di assoluzione ha chiuso per sempre il capitolo giudiziario della vicenda mentre i familiari delle vittime, uniti nel Comitato “140” continuano a tenere viva la memoria dei loro cari.
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A dispetto degli anni trascorsi e dei tre processi celebrati, la dinamica degli eventi non è ancora chiara: l’ipotesi più probabile è che la petroliera Agip Abruzzo venne avvolta da un banco di nebbia fittissima pochi minuti prima del passaggio del traghetto Moby Prince il cui radar non era funzionante oppure non utilizzato nell’uscire dal Porto. Una imbarcazione in transito obbligò Ugo Chessa, capitano del Moby a cambiare improvvisamente rotta; la velocità elevata, un possibile guasto al timone e la visibilità ridotta a zero fecero il resto. Nell’impatto la prua del Moby si conficcò nel tank numero 7 della petroliera e iniziò ad imbarcare greggio dal portellone del garage lasciato incautamente aperto. Lo sfregamento delle lamiere provocò la scintilla. L’incendio iniziò a divorare velocemente lo scafo lasciando tuttavia il tempo ai passeggeri di indossare il giubbotto salvagente e di radunarsi all’interno del Salone De Lux, protetto dalle porte taglia-fuoco. I soccorsi coordinati dalla Capitaneria di Porto raggiunsero in pochi minuti la petroliera in fiamme. Il Moby Prince invece, con i motori ancora accesi, si avviò alla deriva nella sua odissea mortale. Venne raggiunto solo tre ore dopo.
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